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La chiamavan "Capinera"
pe' suoi ricci neri e belli:
stava sempre fra i monelli,
per la strada tutto il dì.
Scalza, lacera, una sera,
m'apprestavo a rincasar,
col visino suo di cera
me la vidi avvicinar:
- Dammi un soldo... ho tanta fame...
- Ci hai la mamma? - Non ce l'ho.
- Ed il tuo babbo... la tua casa?
E lei triste... non lo so.
Provai una stretta al cuore, e, quella sera
la mia casetta accolse "Capinera".
E lei cantava... cantava giuliva
di trilli e gridi la casa m'empiva...
ed un bel sogno nel cuor carezzavo.
la contemplavo...
forse... l'amavo.
Tredici anni lei compiva:
s'era fatta pensierosa.
- Pensi forse a qualche cosa?
che ti manca? Non lo so.
Primavera: (sole e fiori)
"Capinera" è sempre là,
sta affacciata e guarda fuori:
- Cosa vuoi? La libertà.
- Non hai casa... non hai mamma...
dove andrai? - Rispose andrò...
Con la mano piccolina
l'orizzonte m'insegnò.
Provai una stretta al cuore ed una sera
più non trovai a casa "Capinera".
E lei cantava... cantava giuliva, di trilli e gridi la casa m'empiva...
ed un bel sogno nel cuor carezzavo.
la contemplavo...
forse... l'amavo.
Fu in un'alba di Gennaio,
dopo l'orgia rincasavo,
nevicava e m'affrettavo
già ad aprire il mio porton;
ma a distanza molto breve,
vidi un certo non so ché
affiorare tra la neve.
Dissi allor: - Vediam cos'è.
Eran cenci... io li rimossi...
diedi un grido: due piedin
due piedini scalzi e rossi...
poi le mani... poi un visin.
Un urlo mi sfuggì. vedendo che era,
la morticina, la mia "Capinera".
Forse pentita al suo nido tornava
forse, quaggiù che le aprissi invocava
mentre la neve saliva... saliva...
E lei moriva...
e lei moriva...
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